giovedì 9 ottobre 2014

Ebola: oggi, ieri e domani

La previsione di una pandemia batterico/virale globale che decimerà il genere umano ispira dozzine di film da quasi mezzo secolo. Con cadenza sempre più frequente siamo mediaticamente bombardati da notizie di una qualche epidemia incontrollabile. A inizio secolo abbiamo avuto migliaia di titoli di giornali con l'imminente minaccia di epidemie di aviaria, di cui si ricordano al massimo gli 86 contagi umani con un solo decesso; mentre nel 2009 l'Oms ha lanciato l'allarme sull'influenza suina, sostenendo come il virus H1N1 potesse provocare una pandemia influenzale che in realtà ha provocato 104 decessi in tutta Europa; ancora prima nel 2003 si è letto della minacciosa SARS che dal giappone si sarebbe dovuta diffondere in tutto il mondo mietendo milioni di vittime, ovviamente nemmeno questa volta successe. Questi sono solo alcuni degli esempi più recenti. Seppure è doveroso ricordare che il lavoro della comunità scientifica e delle organizazioni sanitarie ha un ruolo fondamentale nel limitare i danni provocate dalle epidemie moderne, è però significativo osservare che a cadenze quasi fisse si parla di pandemie e si lanciano numeri allarmanti quando in relatà spesso la banale influenza stagionale colpisce e uccide molta più gente. Per entrare nell'attualità ad oggi l'ebola ha colpito 7500 persone e solo un caso conclamato in Europa.
Per avere chiara la situazione è opportuno però precisare alcune cose, i casi di contagio sono avvenuti in zone in cui si ha una situazione di conflitto latente o esplicito e in paesi in cui le strutture sanitarie sono disastrate e, come ha dichiarato lo stessso OMS, un numero elevato di infezioni è stato registrato tra gli operatori sanitari a causa di «pratiche inadeguate di controllo dell’infezione in molte strutture».
Quindi noi siamo qui a incupirci per le storie che arrivano dalle zone colpite dal virus e a fare il tifo per i farmaci innovativi e magari per un vaccino, nella speranza che qualcuno ci metta i soldi. Alla fine

sabato 3 maggio 2014

Farmaci e genere. Importanza della differenza di genere nelle terapie farmacologiche.

Al giorno d'oggi nella sperimentazione clinica la specificità delle donne non è adeguatamente considerata, sia per l'aspetto quantitativo (il numero di donne arruolate nei trial clinici è sempre inferiore rispetto al numero di uomini) sia per quello qualitativo (i dati non vengono analizzati in funzione della differenza di genere).
Nonostante vi siano numerosi studi su sperimentazioni cliniche per patologie femminili, quali ad esempio il carcinoma mammario e il controllo dell’osteoporosi, per quello che riguarda la sperimentazione di patologie comuni ad entrambi i sessi, le donne sono quasi sempre al di sotto del limite statistico.
La maggior parte delle sperimentazioni non prevede una differenza tra maschi e femmine al momento dell’arruolamento e dell’analisi dei dati, quindi la percentuale di donne reclutate rimane bassa (inappropriatezza rappresentativa delle donne).
Inoltre il dosaggio dei farmaci è in genere misurato su un individuo di sesso maschile di media corporatura (peso di 70 kg), e la donna è considerata solo una variazione del modello maschile. Sebbene il progredire delle conoscienze scientifiche abbia portato ad una maggiore consapevolezza della specificità del corpo femminile, i protocolli di sperimentazione non sono stati ancora adeguati. Le donne sono generalmente incluse, ove lo siano, solo nella fase III della sperimentazione clinica, ma non nella fase I e nella fase II, che sono di fondamentale importanza per stabilire il dosaggio e la sicurezza nell’uso di farmaci. Pertanto, la mancanza di studi specifici sulle donne, soprattutto nelle fasi precoci della ricerca, non consente di misurare la reale efficacia e l'adeguata sicurezza dei farmaci.